Chiese a porte aperte Share Tweet il mio itinerario ?
Chiesa di Santo Stefano
Diocesi di Alessandria ( sec. XVIII )
Via Verona, 4, 15121 Alessandria
La chiesa di Santo Stefano (in origine SS Stefano e Martino) è legata alle vicende dell’Ordine dei Servi di Maria. I Serviti, infatti, nel 1728 erano costretti ad abbandonare il loro primitivo convento di S. Stefano in Borgoglio per la costruzione della Cittadella, ma solo nel 1741 si autorizzò la costruzione di una chiesa nuova, consacrata infine nel 1773. Tuttavia la piccola chiesa fu destinata a sacrestia poiché non ebbe riconosciuto lo stato di parrocchia. Nel settembre 1802 – occupazione francese – il convento fu soppresso: per breve tempo ospedale militare poi magazzino per l’esercito, per tornare ai Serviti nel 1817. Questi lo abbandonarono per dissidi con la Curia nel 1850, sicché esso fu ceduto al demanio e la parrocchia passò al clero secolare. Pochi anni dopo, il suo ambito venne esteso al quartiere della Cittadella per cui la cura d’anime di tutti gli abitanti della fortezza è delegata alla chiesa parrocchiale dei Santi Stefano e Martino.
La facciata in mattoni tardo barocca è irrigidita dall’incipiente neoclassicismo e mai portata a compimento. Si nota l’incompiutezza nell’assenza del timpano di coronamento. Al centro della facciata della chiesa alessandrina si apre un unico e ampio portale preceduto da una scalinata e sormontato da un timpano curvo. Anche le due nicchie rettangolari poste tra le colonne rotonde terminano con un timpano analogo ed erano destinate a contenere due statue di santi. Tra le colonne rotonde e le piatte lesene addossate alle estremità laterali della facciata sono ricavate due finestre rettangolari, che danno luce all’interno della chiesa. Una terza finestra, di impianto barocco per il profilo curvilineo misto, è situata corrispondenza del portale. Entrando in chiesa colpisce la maestà barocca del tempio a pianta rettangolare con quattro cappelle laterali. La volta d’unione tra la chiesa e l’abside pentagonale è sostenuta da quattro lesene e da quattro colonne sporgenti, che terminano con capitelli corinzi. Le ricche decorazioni delle volte sono state realizzate nel 1898.
Nella prima cappella a destra è collocata una grande tela con un “San Martino a cavallo” in atto di tagliare il mantello per offrirlo ad un povero, seminudo. Alla destra del Santo un angelo in volo sembra suggerire l’azione da compiere. La tela, realizzata dal pittore alessandrino Francesco Mensi nel 1852, ci riconduce nella tipica atmosfera della pittura romantica italiana caratterizzata dai tenui rapporti chiaroscurali, dalla presenza di un paesaggio tranquillo che si perde in lontananza, ma soprattutto dai colori vellutati e poco squillanti. Una pittura che sa trasmettere in modo piano uno spiccato “sentimento” religioso. Alla ricchezza baroccheggiante dell’interno si contrappone, nella parte destra in prossimità dell’ingresso, una nicchia che, come una povera cappelletta, contiene sul fondo un dipinto ad affresco, staccato e riportato su tela, con l’effigie di una “Madonna in trono con Bambino benedicente”. L’opera è anche nota come “Madonna del Parto” o più popolarmente come “Beata Vergine di San Baudolino”. Un’altra opera che probabilmente si può collocare in un momento culturale prossimo alla fine del Quattrocento, è il grande “Crocifisso” ligneo situato sulla sinistra dell’entrata in prossimità dell’altare. Nonostante le vistose e successive stuccature e ridipinture che hanno sicuramente alterato in parte l’incisività dei caratteri originari, è possibile cogliere alcuni aspetti stilistici che inequivocabilmente ci portano alla fine del XV secolo. La composizione formale, la struttura anatomica, la lunghezza delle braccia e delle dita delle mani e dei piedi, rimandano ad altre sculture lignee presenti in Piemonte. Infatti, lo stesso schema compositivo compare, con diversi adattamenti a seconda dell’indole espressiva dell’artista realizzatore, in altre opere d’ambito Jacqueriano più o meno vicine a questa scultura. L’aspetto più interessante è sicuramente da ricercarsi nell’espressività realistica del volto dolorante resa con la bocca aperta che pare urlare dolore e sofferenza.
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