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Chiesa di Maria Vergine Assunta
Diocesi di Novara ( sec. XVI; XVI; XVIII )
Piazza Conciliazione, 28010, Fontaneto d'Agogna, Novara
L’edificio romanico è comunque citato la prima volta nelle carte dell’abbazia arnese del 1330, dove si parla di "Prato magno di S. Maria". È a pianta rettangolare monoabsidata, disassata verso nord rispetto all’attuale chiesa. L’abside è sotto il presbiterio moderno e la facciata a ovest è all’altezza del secondo pilastro.
Forse l’edificio era preceduto da un atrium: la costruzione di tre grandi camere a sepolture multiple, già in uso nel 1628, hanno distrutto ogni presenza probante. Piccoli ambienti, di poco
posteriori alla prima fase di costruzione, sono articolati a nord e a sud con l’accostamento di strutture parallele e addossate alle esistenti. Quello a sud è a destinazione funeraria.
I residui murari a spina di pesce e le numerose tombe terragne ad alveolo cefalico (con tre pietre intorno al capo del defunto) messe in luce davanti alla facciata negli strati archeologici più profondi sono di valido aiuto per la conoscenza della fase iniziale della chiesa ipoteticamente datata al mille. Nell’interno quattro sepolture a fossa sono state svuotate da materiali di riempimento. Una, delimitata da ciottoli legati da malta e argilla e da un sesquipedale laterizio (mattone le cui misure sono in relazione al piede romano di cm 29 circa e alto cm 6) in capo, è ricavata lungo il perimetrale sud. Altre due sono pressoché al centro della chiesa: una con pareti realizzate in frammenti di laterizi posti di piatto legati da malta friabile e il fondo in tegoloni a risvolto; l’altra con cassa in ciottoli disposti regolarmente su più filari legati con argilla.
Quest’ultima è stata parzialmente indagata perché tagliata a nord dalla sepoltura del parroco Giovanni Maria Grazioli Cristofini, morto nel 1682, e a ovest da una lastra sepolcrale in serizzo (140 x 61 x 17-20 cm), di ignota provenienza, posizionata a quota più alta di 50 cm circa, con sezione in parte pentagonale, sagomata a doppio spiovente molto ribassato, certamente materiale di riutilizzo per essere rozzamente sbozzata su un lato in forma trapezoidale.
Una quarta deposizione infantile, accanto a quella in laterizi, presenta tecnica muraria in ciottoli e argilla e copertura in grossi trovanti appiattiti (massi erranti), alcuni ricaduti nel loculo. Dell’edificio romanico non si hanno notizie documentarie. La chiesa della fase quattrocentesca è citata la prima volta nel 1482, nel testamento del feudatario di Fontaneto, il miles Filippo Maria
Visconti che lasciò all’istituzione un reddito di 160 lire annue per il mantenimento di due preti. La toponomastica nel 1492 definisce come “prati di Santa Maria” i terreni circostanti. La dedicazione alla Vergine Assunta compare nelle fonti solo a fine cinquecento.
All’interno della chiesa di particolare interesse è l’altare in marmi policromi innalzato nel 1735 dai maestri di Viggiù; nel paliotto lo scudo in marmo bianco di Carrara (1798) con l’Assunta è di Stefano Argenti.
Pesantemente ritoccati nel 1925 dal pittore Gaetano Calcaterra di Cuggiono, sono gli affreschi delle volte del presbiterio e del coro, si pensa eseguiti nel 1631, citati la prima volta nel 1652 nell’Inventario del parroco Sorosio. Di stretto sapore piemontese- lombardo, impaginati entro cornici di stucco dorato eseguite da maestranze luganesi, essi rappresentano la Vergine Asssunta con i Profeti Davide, Daniele, Isaia, Geremia.
Sopra il coro è l’Ostensorio ambrosiano sostenuto da due arcangeli; nelle vele incombono altri quattro bellissimi angeli musicanti.
Il coro circondato da stalli lignei settecenteschi, è ornato sulla parete estrema dalla pala dell’Assunta, attribuita a Sperindio Cagnoli, dipinta alla metà del secondo decennio del XVI secolo. Sulla parete sud è la Deposizione di Cristo di maestro gaudenziano. Su quella nord sono due tele gemelle (215x120 cm) di inizio XVII secolo di maestro lombardo: una rappresenta la Predica di san Domenico, l’altra la Madonna del Rosario con i santi Domenico, Caterina da Siena e, alle loro spalle, i quattro fratelli Visconti: Ottavio, Giovanni Francesco, Baldassarre e Carlo. I dipinti ornavano l’antica cappella del Rosario, che sorgeva nella quarta campata della navata nord, citati nell’inventario del parroco Marini del 1617, con la statua lignea della Vergine si ammira sull’altare della cappella odierna in capo alla navata sinistra.
In capo a quella di destra è la cappella di Ognissanti con il telerio del Cristo in gloria adorato da tutti i Santi (che Antonio d’Enrico, detto Tanzio da Varallo, dipinse tra il 1628 e il 1629, opera altalenante tra l’arcaismo compositivo e le novità stilistiche del naturalismo caravaggesco. Il dipinto fu commissionato da Giovanni Francesco e Carlo Visconti i cui onomastici campeggiano nella parte inferiore. L’opera era destinata all’altare della cappella costruita poco dopo il 1610, per legato testamentario del fratello Baldassarre. Davanti ad essa i Visconti fecero allestire anche una camera sepolcrale multipla riservata ai componenti della famiglia.
Il forte aumento demografico di inizio ottocento indusse il parroco don Martino Jelmoni a promuovere consistenti lavori di ampliamento della chiesa. Nel 1827 furono aggregate le due navate laterali e nel 1842 lo scurolo di Sant’Alessandro su progetto di Alessandro Antonelli.
Lo scurolo, come comunemente viene chiamata la rotonda di Sant’Alessandro, si articola a sud della parrocchiale della B.V. Assunta di Fontaneto.
Questa chiesa è frutto di numerosi interventi architettonici. Indirettamente è citata la prima volta in una carta del 1330, riguardante il “prato magno di Santa Maria” di proprietà dell’Abbazia benedettina di Arona. Le indagini archeologiche del 1999 la attestano come edificio cimiteriale romanico. Ricostruita nella seconda metà del Quattrocento dal miles Filippo Maria Visconti e riconsacrata nel 1472, acquista l’immagine barocca tra il 1628 e il 1630, secondo le prescrizioni tridentine dei vescovi novaresi. Più tardi, nel 1827, è ampliata in tre navate per iniziativa del vicario don Martino Jelmoni.
Ricevute nel 1839 dal canonico Paolo Durio, allora in prelatura a Roma, le spoglie del martire Alessandro e traslate in pio pellegrinaggio in compagnia della contessa Caterina Lucini Passalacqua Visconti, l’arciprete nel 1841 contatta l’architetto Alessandro Antonelli per la formulazione del “disegno” del sacello.
Antonelli è di casa a Fontaneto: fin da giovane vi trascorre le vacanze presso la zia materna Lucia Bozzi Cavallazzi. La sorella Giuseppa dal 1836 è qui residente e per un certo periodo abita un’ala del castello acquistato cinque anni prima dal fratello primogenito Antonio. Al momento della commissione il cognato Giovanni Morotti è sindaco del paese.
Nell’ottobre 1842 il professore è in loco per tracciare la planimetria dell’edificio in rapporto al preesistente e il 27 novembre viene benedetta la prima pietra. La struttura circolare coperta da cupola è propedeutica alle successive e più complesse sperimentazioni del maestro.
La pianta dell’edificio (12 metri di diametro), definita dalla sequenza di 12 colonne alveolate nei diaframmi murari, è in assonanza con il metodo antonelliano caratterizzato dal sistema costruttivo a fulcro, lo stesso che in quegli anni l’architetto utilizza nel progetto per la cupola di San Gaudenzio di Novara.
Gli esiti eclettici sono il risultato della sintesi di ricerche tecnico-strutturali e di presenze di derivazione classica: come la forma che richiama quella del Pantheon romano, l’ordine corinzio delle colonne e i lacunari fioriti dell’intradosso di copertura, un tempo arricchiti dal rosone in stucco.
Le parti murarie sono completate nel 1843.
Per l’elegante apparato decorativo viene contattato lo scultore novarese Giuseppe Argenti, che due anni dopo esegue le 12 statue in terracotta con i santi onomastici degli illustri committenti, proprietari in Fontaneto.
Iniziando da destra si susseguono:
San Melchiorre, (offerta da Melchiorre Sacchi);
San Luigi (offerta da Caterina Verona Fortis);
San Carlo (offerta dal conte Borromeo);
San Giuseppe (offerta da Francesca Scalini Ferrari);
Santa Elisabetta (offerta dalla Contessa Elisabetta Visconti Borromeo Ottolini);
San Domenico (offerta dalla signora Domenica Conelli);
San Sebastiano (offerta dal Conte Pirro Visconti);
Santa Caterina (offerta dalla contessa Caterina Lucini Passalacqua Visconti);
San Gaudenzio (offerta da Carlo Andrea Ferrari);
San Giovanni Battista (offerta da Giovanni Battista Zenoni).
Sono di Argenti anche i quattro angeli dei pennacchi dello sfondato dell’altare e dell’arco di ingresso all’invaso.
I dieci bassorilievi in stucco bianco, che coronano le specchiature, sono commissionati allo stesso Argenti il 29 novembre 1847. Come si legge in alcune memorie lasciate dall’artista rappresentano:
1) Congresso dell’Imperatore per la persecuzione dei cristiani;
2) Ordine dell’arresto del Santo;
3) Arresto del Santo nella cella;
4) Il Santo davanti al giudice;
5) Pene di strazi per convertirlo agli dei pagani;
6) Altro martirio;
7) Il Santo in carcere visitato da un angelo e confortato che presto avrà acquistato il Paradiso;
8) Il martirio del Santo che lo conduce a morte e l’anima che sale al cielo per essere fregiata di palma e corona de martiri;
9) I Cristiani trovato il corpo del Santo cercano di sottrarlo dalle guardie dell’imperatore;
10) Il Santo portato nelle catacombe viene depositato in un’urna come altri cristiani.
Il “marmorino” Stefano Bossi nel 1849 realizza l’altare con le balaustre. Nel progetto Antonelli ripropone la stessa forma a tempietto, di ascendenza zanojana, già impiegata nella sua prima opera giovanile datata 1821: l’altare dell’oratorio di San Rocco in centro al paese.
L’intagliatore Bosio di Torino esegue l’urna in legno dorato; nel settembre il pittore Giuseppe Raineri dipinge in stucco lucido le pareti e Giovanni Maggi indora i capitelli “di lucido e smorto”.
L’11 agosto 1850 la Rotonda è inaugurata con la traslazione solenne delle reliquie del Santo.
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