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Chiesa di San Pietro al Rosario
Diocesi di Novara ( sec. XVI; XVII; XVIII )
Piazza Gramsci, 28100, Novara (NO)
Collocata nel centro cittadino, la storia dell’attuale chiesa di San Pietro al Rosario ha inizio il 30 aprile 1599, quando, per volere del vescovo Bascapè venne posata la prima pietra per la fondazione della nuova parrocchiale, a cui si scelse di applicare la struttura architettonica della croce latina, a unica navata, con un transetto appena percepibile ed un ampio coro, coperti da una volta a botte che, nell’incrocio tra il soffitto del presbiterio e quello della navata lascia spazio alla cupola ovale. Internamente lungo le pareti si aprono quattro cappelle: sulla destra, dedicate al Crocifisso, a San Giuseppe, al Sacro Cuore di Gesù e alla Madonna del Rosario, sia sulla sinistra, dedicate a San Biagio, San Vincenzo Ferreri e San Domenico e, la prima dall’entrata, che ospita invece il monumento funebre
di Amico Canobio.
I lavori di riedificazione terminarono nel 1618, anno in cui il vescovo Taverna consacrò l’edificio. I primi documenti rinvenuti riguardanti la decorazione interna della chiesa, datati 1620, trattano del pagamento a Giulio Cesare Procaccini per la realizzazione della grande tela della Madonna del Rosario con i Santi Domenico e Caterina, forse una delle ultime dipinte dal maestro morto poi nel 1625.
La pala decora, assieme ad altri due dipinti di dimensioni più ridotte raffiguranti la Sacra Famiglia e l’Adorazione dei Magi, attribuiti a Giuseppe Vermiglio, l’omonima cappella. Qualche anno dopo, a seguito della peste che devastò la città tra il 1627 e il 1630, venne presa la decisione di terminare le decorazioni della cappella eseguite dal milanese Giovanni Mauro Della Rovere detto il Fiamminghino, lavoro che soddisfò talmente le aspettative della committenza che intorno al 1637 gli iscritti alla milizia di San Pietro Martire assegnarono, sempre al Fiamminghino, le decorazioni della volta del presbiterio e del coro.
L’opera completa si suddivide in sette grandi scene che, disposte in ordine cronologico, rappresentano: la Battaglia contro gli eretici a Firenze, San Pietro che parla ai Milanesi dalla piazza di Sant’Eustorgio, San Pietro che risana un giovane riattaccandogli il piede che si era amputato, San Pietro che ridona parola e udito a un sordomuto, la scena del Martirio nella tazza absidale, la Vergine che accoglie l’anima di San Pietro e San Pietro ai piedi della Santissima Trinità, nella volta del presbiterio.
Datata attorno al 1665 fu invece la presenza di Melchiorre Gherardini, noto anche come il Ceranino, autore degli affreschi de La storia della Maddalena nella cappella di San Domenico e quelli della cupola che rappresentavano la Gloria dei Santi Domenicani.
La navata, venne decorata dal quadraturista lombardo Federico Bigioggero, che, seguendo uno schema molto in voga nel barocco, dipinse una finta struttura architettonica, con tanto di balconata e finto loggiato studiato per creare l’impressione di una maggiore profondità. Il centro della volta venne altresì decorato da un altro grande esponente della pittura barocca lombarda: Giovanni Stefano Danedi detto il Montalto, autore della Gloria di San Domenico alla presenza della Santissima Trinità e della Sacra Famiglia.
Sempre ai due artisti venne commissionata la decorazione delle pareti della chiesa, di cui però rimangono vive solo poche tracce, ad oggi visibili sulla controfacciata attorno alla grande finestra dove, sulla destra, si trova una donna che allatta un neonato mentre altri due bambini si attaccano alle sue vesti, simbolo della Carità e, sulla sinistra, una donna velata che regge il calice e la croce, simbolo della Fede.
Fu la sede novarese dell'Ordine Domenicano prima delle soppressioni napoleoniche. Si presenta internamente a navata unica con sei cappelle laterali. Conserva alcune opere di rilievo come la statua della Madonna del latte, risalente al XV secolo ma ricavata da un preesistente monumento di epoca romana, la Vergine del Rosario di Giulio Cesare Procaccini (1625) ed il ciclo di affreschi sulla vita di San Pietro di Giovanni Mauro Della Rovere (1637).
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